La Lanterna del Montorsoli, il “Faro” di Messina, uno dei più antichi d’Europa si erge imponente e maestoso, nato per avversare il mitico gorgo di Cariddi, il mostro delle correnti che gli antichi pescatori chiamavano “u garofalu”.
La bellezza del sito e il tema del culto sono stati i temi principali della zona falcata che vanta riferimenti con accensione di fuochi già alla fine del duecento, quando ad alcuni frati era stata concessa quell'area per costruire il proprio Monastero.
Documenti del XII secolo ci danno notizie di un'abitazione privata sulla penisola su cui sorge l’omonimo faro, dove viveva un certo Raineri, monaco eremita, che nelle notti di tempesta accendeva dei fuochi dalla spiaggia per allertare i naviganti dei pericoli che correvano lungo quelle coste.Viveva "in una capannuccia sotto un'antica e rovinosa fabbrica, stimata dei tempi dei Mamertini, vicina la mare, in quel luogo istesso ov'è fabbricata la Torre, chiamata volgarmente Lanterna".Dopo la sua morte avvenuta a Pisa, sua città natale, e dove fu elevato alla gloria degli altari e proclamato Santo Patrono della città, i Monaci Basiliani del vicino Monastero di San Salvatore de’ Greci, e la colonia Pisana residente a Messina, vollero dedicargli una Cappella, e la edificarono nello stesso luogo dove successivamente fu edificata la Torre del Faro. Dalle pubblicazioni di Domenico Puzzolo Sigillo, che nel suo "Tre opportuni chiarimenti di toponomastica messinese" riporta alcuni episodi legati ad un'opera di pietà Francescana dimenticata, e cioè quella della nascita della Lanterna di San Raineri, dove si legge testualmente, "Il 7 ottobre 1319 fra’ Federico Tartagna, Messinese dell'Ordine dei Continenti, esibisce alla comunità di Messina un documento datato 26 giugno 1291, nel quale si dice che Fra Giovanni da Messina dell'”Ordine Continentium” ed i suoi compagni che “osservavano la povertà, l'obbedienza e la castità” abitanti nella torre di San Raineri, avevano ricevuto la richiesta da parte delle Autorità di porre un fanale “fanarium qui dicitur luminare” sulla torre, per illuminare i naviganti che attraversavano lo Stretto “ut navibus inde navigantibus lumen proferrent”.Essi lo avevano fatto tra le altre opere di carità. Una di queste opere era la costruzione di alcune case per la loro abitazione e per accogliere i marinai in pericolo". Che i Continenti del Faro fossero terziari francescani è detto chiaramente nel Testamento di Nicolò Munnomatu, del 13 aprile 1375, nel quale appare tra gli esecutori del testamento “fratrem Urlandum de Branca Ordinis Contìnencium Sancti Rajnerii Tercii Ordinis Sancti Francisci” (frate Orlando dell'Ordine dei Continenti di San Raineri del Terzo ordine di San Francesco).
La Torre di San Raineri sarebbe dunque divenuta un Faro vero e proprio intorno all’ultimo decennio del XIII secolo, assumendo da allora il nome di Lanterna, come si evince dal documento sopra menzionato in cui si legge tra l’altro che “il miles Sergio De Domenico legava un’oncia d’oro alla Lanterna di San Raineri”.La Cappella dedicata al Santo, fino al 1500 circa, era meta di culto e di preghiera in quanto l’area circostante vicino al mare era stata adattata per le garanzie di isolamento a ricovero degli appestati e divenuta presto anche Camposanto, di pubblica proprietà comunale che lo utilizzava nei periodi luttuosi delle pesti e per la quarantena delle navi provenienti da luoghi considerati a rischio contagio.
Nel 1537 nell'ambito della realizzazione di un imponente sistema difensivo esteso all'intera città, ordinata dall’Imperatore Spagnolo Carlo V, il Vicerè di Sicilia Don Ferrante Gonzaga dava mandato all’Ingegnere e Architetto Militare Antonio Ferramolino da Bergamo di recingere con colossali mura la città, a difesa dalle invasioni nemiche.Nel 1551 era sempre più presente il terrore per una imminente invasione delle truppe Ottomane, e per lo scopo fu convocato a Messina un Consiglio di Guerra a cui erano stati invitati, oltre all’anziano Ammiraglio Andrea Doria parecchi ingegneri tra i quali anche il Matematico e Astronomo Messinese Francesco Maurolico. Sul lato di Terranova e San Raineri fu deciso di costruire due baluardi, tra loro uniti da una cortina muraria: quella di Don Blasco e quella di San Giorgio.
Viene stabilito di riedificare una nuova torre con funzioni di "faro portuale" nel braccio di San Raineri, a servizio della città. Nel 1554 il nuovo edificio è quasi ultimato, quando il Viceré Juan De Vega, che lo visita, lo ritiene inadeguato e ne ordina la demolizione e la riedificazione con criteri dettati dallo stesso, dandone incarico per la costruzione proprio a Giovanni Angelo Montorsoli che in quegli anni era stato chiamato dal Senato messinese per edificare, allo sbocco dell’acquedotto del Camaro (costruito nel 1530-47), sulla piazza del Duomo, la fontana di Orione, e altre opere come la fontana del Nettuno, l’apostolato del Duomo e la chiesa di San Lorenzo.
Edificata nel periodo tra il 1555 e il 1557, il Montorsoli utilizzò parte della struttura preesistente risalente al XIII secolo, progettando un corpo di fabbrica a forma di piramide tronca dell’altezza originaria di 29 metri, con paramenti inclinati a “scarpa”, sviluppandosi su tre piani che accolgono altrettante camere sovrapposte a pianta quadrata con soffitti a volte e collegate tra loro da una scala a chiocciola in pietra ricavata tra le mura e che conduce al terrazzo dove vi era posizionata la loggetta della lanterna.
Nei prospetti esterni i tre livelli sono delimitati da altrettanti marcapiani e sono rivestiti con un apparato “bugnato” in cui la cura dei dettagli negli smussi e nella sagomatura delle pietre testimonia l’esperienza del Montorsoli scultore, come gli elementi decorativi scultorei delle finestre a lunetta con doppia strombatura che nella serie di archi concentrici aggettanti creano il connubio tra l’architettura militare e civile del periodo tardo rinascimentale.
L’unica porta d’ingresso sopraelevata, raggiungibile soltanto attraverso un ponte levatoio, oltre l’effige imperiale con le armi spagnole di Carlo V Re di Sicilia, recava scolpita su una lapide di marmo la seguente iscrizione dettata dal Maurolico:
D.O.M.
CAROLO V IMPERANTE
HISPANIARUM ET UTRIUSQUE SICILIAE REGE
JOANNES VEGA PROREX
TURRIM CALOFARUM AD EXPONENDAS
NOCTU NAVIGANTIBUS FACES
PUBL. IMPENS. CONSTR. CURAVIT
IACOBO SPATHAFORIO, NICOLAO SOLLIMA,
D’ASCANIO MARULLO, PETRO BENEDICTO, HYERONIMO ROMANO,
STEPHANO MESSENIO IURATIS, FRANCISCO ROMANO,
ET JOANNE IURBA PROUIFORIBUS
D L V
NE TIBI FALLACIS RAPIANT DISCRIMINA PONTI
HAEC TIBI FAX MONSTRAT NOCTE VIATOR ITER
Dall’alto della Torre, infatti, prima del terremoto del 1908 erano visibili altre due opere perfettamente allineate alla Lanterna e cioè la Fontana del Nettuno e la Fontana di Orione. Dopo il sisma, però, la Fontana del Nettuno venne trasferita nella piazza dell’Unità d’Italia, dove si trova tutt’oggi, e arbitrariamente ruotata di 180 gradi rispetto alla posizione originaria. Si è perso così un progetto unico nello stile, radicato nell’identità di una città che ha vissuto un’importante epoca culturale europea.
Dopo la ristrutturazione della torre - come sostiene lo storico Buonfiglio nel Libro V del volume “Messina città nobilissima” - le spese per il mantenimento della Lanterna provenirono soprattutto da una donazione. Il «lascio che una donna greca, dell'isola di Candia, fece d'un oliveto, quale acquistò abitando in Messina, del cui oglio s'accendesse questo notturno lume, et è vicino il torrente di Bordonaro, nella contrada nomata Calorendi".
Fino al 1814 e forse anche più tardi la Lanterna restò di proprietà comunale. La necessità di una maggiore sicurezza della navigazione in virtù della progressiva evoluzione degli scambi commerciali via mare portò il Real governo Borbonico a migliorare la rete dei porti, degli approdi e dei segnalamenti siciliani, in quest’ultimo caso ed in ragione dei nuovi meccanismi impiantati nei fari, proprio per distinguerli l’uno dall’altro, con un sistema di caratteristiche ad intervalli e lampi e con portate luminose maggiori. Solo nel 1868 e sulla scorta di quanto fatto in Sicilia nei decenni precedenti, Vittorio Emanuele II istituì una “Reale Commissione dei Porti, Spiagge e Fari, con l’intento di regolamentare il segnalamento marittimo lungo le coste italiane.Negli anni successivi la stessa commissione ratificò la prima stesura di un programma organico di interventi e venne finanziata una vasta opera di costruzione di oltre 100 segnalamenti per le coste del regno d’Italia.
Nel 1911 con il Regio Decreto n. 294 si dispose il passaggio del Servizio Fari e dei segnalamenti Marittimi dal Ministero dei Lavori Pubblici alla Regia Marina, e con la nuova organizzazione oltre alle strutture amministrative centrali vennero istituiti i Comandi Zona Fari tra cui quello di Messina, responsabile della gestione e manutenzione dei Fari in Sicilia con sede nelle immediate vicinanze della Lanterna.
La Lanterna negli anni a seguire fu interessata da lavori di ammodernamento dell’impianto illuminante ospitando apparati delle ditte più prestigiose e all’avanguardia come la “Bernard & Turenne” e la “Lepaute” di Parigi, oppure della “Iulius Pintsch” di Berlino.Nel 1907 fu installata sulla torretta del faro, dopo le ricerche e le sperimentazioni effettuate da Guglielmo Marconi la prima stazione telegrafonica senza fili, e a seguire la stazione semaforica fornita di un impianto a luce gialla che all’occorrenza serviva per l’impedimento al passo delle navi in transito nello stretto. Analogo apparato era installato anche al Faro di Capo Peloro.Durante la 2^ guerra mondiale, la lanterna fu occupata prima dai tedeschi, che la utilizzarono come dormitorio e come stazione radio e successivamente dagli alleati anche se per poche settimane.Oggi la Lanterna è dotata di un’ottica rotante di 250 mm, ed emette 3 lampi bianchi e 3 periodi di eclisse in un tempo complessivo di 15 secondi, con una portata ottica di 22 miglia nautiche.