Brolo, la città che nelle antiche mappe dei geografi arabi era indicata come Marsā Dālīah, il “porto della vite” (perché qui le navi caricavano il vino), domina ancora oggi, con il suo caratteristico borgo medievale, la splendida costa saracena, quella fascia di costa tirrenica che spazia da Capo d’Orlando a Capo Calavà, un tempo terra di razzie da parte delle galere di Kair-ed-din, il famoso pirata Barbarossa. Il Castello, la cui costruzione risale al X secolo d.C., è situato su un incantevole promontorio a picco sul mare e domina il borgo sottostante con la sua magnifica torre. Fu ambita sede di nobili, oltre che residenza della Principessa Bianca Lancia, moglie dell’Imperatore Federico II e madre di Manfredi Re di Sicilia.
Illustri viaggiatori ed artisti hanno soggiornato nel Castello di Brolo, rapiti dalla folgorante bellezza del luogo. L’edificio in epoca normanna era conosciuto con il nome Voab, il cui significato è “Rocca marina“, in virtù della sua posizione geografica e strategica. Del complesso originario del Castello resta la cortina muraria, i due portali di accesso ed una corte sistemata a giardino con un pozzo esagonale, il tutto sormontato dalla mole della torre medioevale, la quale si eleva per quattro livelli culminando in una terrazza merlata. L’accesso alla cittadella è consentito da due porte, quella denominata “fausa”, alle spalle del castello, e l’ingresso principale con l’arco in arenaria sormontato da un altorilievo marmoreo che reca una sequenza di quattro scudi con gli stemmi dei Luna, dei Lancia, della baronia di Piraino e degli Alagona. E proprio su questa porta della cinta muraria trova fondamento la scritta “Imperium Rexit Blanca – Hoc e Stipite Natus Manfredus Siculus Regia Sceptra Tulit”, mentre sulla seconda c’è, a ricordo di Corrado III che nel 1404 veniva dichiarato “maior ac principalior de domo Lancia”, il marmoreo bianco scudo con la scritta “Principalior Omnium”.
La torre era un presidio posto a tutela delle sottostanti attività portuali nonché punto privilegiato per la difesa dalle incursioni dei mori, mentre il borgo aveva un’importante funzione nevralgica per l’economia dell’entroterra nebroideo, con il suo porto che doveva avere un ruolo di grande importanza nel quadro delle rotte commerciali marittime, anche alla luce della strategica vicinanza delle dirimpettaie isole Eolie. Al secondo piano della torre si trova la bellissima sala di rappresentanza ed il balcone panoramico, dal quale è possibile ammirare un tratto della Costa Saracena in direzione di Messina. Al balcone del Castello di Brolo è legata anche la leggenda di Maria La Bella, figlia di Francesco I. La principessa era solita aspettare affacciata al balcone il suo amante che sopraggiungeva dal mare. Lo spasimante, una volta raggiunta la torre, si aggrappava alle lunghe trecce dell’amata per raggiungerla in segreto. Il fratello di Maria, accortosi di quanto accadeva, tese però un agguato al giovane, aspettandolo sullo scoglio antistante il Castello e ferendolo a morte. La principessa aspettò per lungo tempo invano il ritorno del suo amato e si racconta che lo spirito innamorato della bella Maria appaia ancora oggi nella notte ai pescatori del luogo.
All’interno del castello è possibile visitare:
Il Museo delle Fortificazioni Costiere della Sicilia nasce dall’esigenza di avere un luogo dove riunire gli esempi più significativi di fortificazioni, il cui scopo nei secoli fu quello di difendere le coste dell’Isola dagli attacchi continui della pirateria.Il visitatore sarà accompagnato da un percorso visivo multimediale all’interno delle sale, dove sono disposti dei pannelli didattici a testimonianza dell’evoluzione dei sistemi difensivi nei vari periodi storici.Il Museo delle Fortificazioni Costiere, così come il Museo della Pena e della Tortura, offrono un importante momento di riflessione su un periodo di storia denso di fascino e di avvenimenti importanti e rendono il Castello di Brolo, testimone prezioso del suo tempo, rendendolo un ponte tra il passato ed il presente della storia siciliana.
Il Museo della Pena e della Tortura, situato all’interno del Castello di Brolo, rappresenta un agghiacciante viaggio tra gli strumenti di esecuzione capitale e di tortura. Questa insolita esposizione racconta una storia di orrori che per molti secoli, durante il Medioevo, ha fatto parte integrante dell’umana convivenza. Il Museo della Pena e della Tortura riscuote grandi consensi da parte del pubblico per la sua forte valenza storica e per l’esposizione unica al mondo che annovera. Il Museo, con un contenuto di grande impatto sui visitatori, vuole essere una testimonianza del lato peggiore della natura umana.
La tortura, ampiamente presente fin dall’antichità e presso tutte le culture, fu un metodo di coercizione fisica o psicologica, inflitta con il fine di punire o di estorcere delle informazioni o delle confessioni. Condannata e ripudiata nelle sue giustificazioni teoriche, la tortura per lungo tempo è riapparsa sotto forme e motivazioni diverse, costringendo gli storici ad interrogarsi sulle dinamiche che la generarono.All’interno del Museo il visitatore può soffermarsi ad osservare gli strumenti di tortura, morte e scherno: una raccolta di materiale suddiviso per epoche storiche, per tipologia d’uso e di costruzione. E’ possibile osservare: la Garrotta, lo Schiaccia pollici, la Sedia Inquisitoria, la Forcella dell’eretico costituita da due piccole forche che venivano fatte penetrare sotto il mento e sopra il petto; la Gogna, forse tra le più conosciute macchine da tortura, così come la Cicogna della storpiatura, oggetto che immobilizzava con dei cerchi il collo tenuto stretto ai polsi e alle caviglie.
Il Museo della Pena e della Tortura espone nella sua collezione le Maschere di schernimento, aggeggi che oltre che rendere ridicoli, occludevano naso e bocca, ed ancora il Pifferaio del baccanaro, la Botte dell’ubriacone, il Violone delle comari, il Cavallo spagnolo, la Culla di Giuda.Si materializza così, davanti agli occhi increduli del visitatore, grazie anche a numerose illustrazioni d’epoca, un terribile scenario degli orrori, non con l’intenzione di sollecitare morbosa curiosità, ma con la volontà di far riflettere perché mai più nulla di simile si ripeta in futuro.
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