La Vara è Messina, Messina é la Vara. Storia, arte, ingegno, fede sono nella memoria della sua gente. Come si può spiegare il fenomeno Vara a Messina; chi non conosce la tradizione millenaria di questa città, chi non sa quanto grande sia la sua fede, chi non ha mai sentito parlare delle sue vicissitudini storiche si affida all’apparenza. E vede una città “lontana” dalla realtà odierna, che attraverso lacunose vicende si mostra lenta, affannata, fortificata ad un passato che non ha mantenuto apparente memoria. Se oggi la Vara mantiene quel suo fascino particolare, un tempo, quando la macchina era tutta popolata, come popolano le api un favo, doveva essere veramente uno spettacolo nello spettacolo.
Acquatinta di Jean Houel, stampata a Parigi nel 1785
Chi ha la fortuna di ammirare la macchina in movimento, si rende conto che quello è un artificio particolare. Chi si immagina la scena per la prima volta, per portarla al pubblico, non poteva supporre quanto grande fosse il giubilo che animava i cuori dei suoi testimoni. Sarebbero state le evoluzioni delle figure angeliche, del vorticare dei pianeti, dello spirito gioioso ispirato da tutti quei pargoli appesi come ghirlande nella festa: sarebbe stata la fede primitiva, forte, ingenua, a volte esasperata, dalla certezza che i messinesi nutrono un amore invincibile verso Maria, trascinando quel fiume animato, ove si muove la Vara, in un entusiasmo innaturale, che pervade l’anima di tutti i testimoni; certamente queste emozioni indescrivibili fanno vibrare il corpo per la gioia, un sentimento che ha pochi eguali fra i credenti.
Particolare della Vara in una edizione degli anni '50, con in primo piano i bambini seduti sui seggiolini
La Vara, non è solo il grande carro, sono i suoi devoti che la fanno grande: essa è la forza della loro fede che si manifesta sotto tante facce, tra il serio e il faceto, tra il sacro e il profano, che sta nei cuori, nella mente, nella consapevolezza che rappresenta il ponte che nelle generazioni unisce i messinesi. L’alchimia che si trasforma in qualcosa di definito e reale, passa negli attori che la muovono, istantaneamente trasmessa a quelli che la tirano e ai presenti che ammirandola gridano frenetici scandendo quel nome: Viva Maria! Viva Maria! Viva Maria. La madre, la protettrice, colei che sempre ci ha soccorso, viene invocata, Alma benedetta sede della luce. Ecco che, sotto la spinta della gente che accorre, che si ingrossa fra le vie, che discende dai viali a monte, densa, compatta, come un fiume di lava che ribolle, proveniente dal mare della vicina e devota Calabria, dalle sue contrade e dai monti la salutano al passaggio: con fazzoletti, con mani, con suoni, con inni di lode, con canti sonori, con distinti applausi, con quel grido che non si spegne, come l’eco che penetra nella valle rimbalzando fra un ode e un salmo. Viva Maria! Viva Maria! Viva Maria Madre Santa! Chi viene dal mare verso il porto e scorge quella stele di Maria, come gli antichi popoli greci la ricordavano nelle contingenze durante la guerra la carestia, si votavano a Maria la liberatrice.
La Vara in sosta a Piazza del Governo, in una edizione degli anni '50
La Vara o grande carro, è la trasposizione plastica dell'Assunsione al cielo della Madonna. Poggia la sua base sul ceppo, tutto costituito da travature di acciaio poste a crociere: a sua volta questo armamento, dal 1565 anno in cui Giovannino Cortese l’ampliò, abbandona l’uso delle ruote per poggiare su un paio di slitte che permettono il movimento scivolando sul basolato della strada. La macchina ha nel suo interno lo scannum, da cui si dipartono i meccanismi per il movimento degli artifici della Vara: nella prima meta della piramide, quattro uomini regolano i movimenti con una manovella per fare girare il cilindro alla base della camera, dove, fino agli anni 50' prendevano posto 14 bambini, mentre più su, altri uomini sono incastrati fra il Sole e la Luna per manovrare gli altri meccanismi. Nella pedana quadrangolare alla base, vi è la camera della dormizione, nella quale e composta la baretta di Maria o cubiculum, contenente la statua antica della Madonna che, in passato, era attorniata dai dodici Apostoli , seduti su altrettanti tronetti , rappresentati anch’essi da altrettanti ragazzi di eta compresa fra i dieci e dodici anni. E su, quando si mette in moto la macchina, cominciano a girare una serie di nuvole, di angeli e teste di serafini che simboleggiano l’apoteosi dell’Alma "che è Sole in cielo” raffigurata in alto da una statuetta sostenuta dalla mano destra del Padre Supremo. Gli attori di questo artificio nel ’6OO raggiunsero l’incredibile numero di 150 persone, ma, furono ridotti a circa 100 nel 1842, e infine, sostituiti quasi del tutto nel 1866, epoca delle leggi eversive, che tanto danno hanno arrecato più che alla chiesa obiettivo del governo, alla Città di Messina fra le altre realtà italiane. Anticamente, durante il tragitto della Vara, colpiva una scena che si svolgeva attraverso due figuranti che impersonavano il Padre Supremo e la Vergine Maria: raccontava il Samperi nella sua lconologia che la Vara si arrestava davanti ad una chiesa presente nella via per far ripetere al due personaggi un dialogo, vero inno di fede che i messinesi erano soliti cantare alla propria protettrice. La congiunzione tanto ricercata, per dimostrare come i devoti Messinesi non scindessero la memoria Mariana celebrata il 3 giugno da quella del 15 di agosto, come due momenti separati di fede, viene rivelata dalle parole di questo sonetto:
Et Padre - Virgini di li virgini ab eternu, Eletta e poi criata Matri santa, A pussidiri lu regnu supernu Di lu miu Patri cu gloria tanta,
Veni filici piantata, poichì ai misu Paci fra l’homu e Diu, chi l’avi offisu. Veni, triunfanti o imperatrici, a dari Riposi all’infiniti toi turmenti,
Chi suppurtasti per megghiu riscattari L’homu all ’irfirnali focu ardenti. Veni, cridenti Matri, Alma regina, Prega per la devota tua Missina.
Maria- Milli grazi vi rendu, Eternu, Patri, Chi di l’ancilla tua ricurdasti Et a tia duci figghiu,
chi a la Matri La tua città fidili accumandasti, Picchi ordinasti ch ’iu li sia avucata, Pri l’amor miu ti sia ricumandata.
Finito di raccontare questo dialogo intercorso fra i due supremi personaggi (Icon. Samperi, pp. 49- 50), la popolazione dei devoti raccolta sulla via, entusiasta, sventolando i fazzoletti gridava: Viva Maria! E al grido ripetuto per tre volte, la macchina riprendeva, arrancando, il suo percorso. Nel ’7OO la ragazza che impersonava l’Alma Maria, aveva la facoltà di chiedere la grazia in favore di un condannato, e generalmente quella grazia veniva concessa. La Vara ha un peso di quasi otto tonnellate ed è alta 15 metri: questo cimelio del passato, viene ancora manovrato da una cinquantina di persone, distribuiti fra vogatori, timonieri, macchinisti e due capi corda, sotto la responsabilità di un direttore generale e un comandante. Nelle due corde di traino lunghe centoventi metri ciascuna, prendono posto a piedi scalzi, diverse centinaia di persone per lato: vestite con il tradizionale camicione bianco, stretto alla vita da una cinghia azzurra con ai lati delle corde, alcune persone della stessa connotazione, che hanno il compito di ricambio nel tiro.
"Lo strappo", immagine di Elio Sottile
Davanti la Vara e i tiratori, viaggia una baretta formata da un grosso cero, con attinenza all’offerta del cero votivo da parte del senato, quindi, del governo della Città. Oggi il ceppo della Vara viene portato a piazza Castronovo, il primo di agosto, con una sobria cerimonia e con il parroco della Vara, Mons. D'Arrigo, che benedice il ceppo. Dal giorno successivo, maestranze esperte coadiuvate dai componenti del Comitato Vara,cominciano il montaggio un pezzo per volta. La sera precedente la festa, davanti il carro trionfale viene allestito un piccolo altare e l'Arcivescovo, Mons. Accolla, vi celebra la santa messa. Nel pomeriggio del 15 Agosto, tolto l’altare e disposte le gomene per il tiro si da inizio alla sfilata devozionale. ll percorso si snoda da piazza Castronovo, lungo buona parte della via Garibaldi, fino all’intersecamento dell’asse viario della via primo settembre, all’altezza del palazzo dell’Arcivescovado: in quel punto si svolge l’atto atteso della sfilata, la Vara, muovendosi, compie di soppiatto, un vorticoso giro di novanta gradi su se stessa, facendo roteare dall’asse della piramide l’Alma Maria sul vertice, come se Ella da lassù roteando, benedicesse tutti in un immenso abbraccio, una scena molto commovente per chi è credente. Ormai smunti dalla fatica, nell’ultimo tiro, i tiratori entrando nella piazza del Duomo illuminata a giorno, riceveranno un fragoroso applauso, e al grido invincibile di viva Maria, collocheranno la macchina dell’Assunta, precisamente innanzi all’atrio principale del Duomo.
la Vara a Piazza Castronovo, prima della partenza
Ammirare il carro di Maria che viene sospinto fra la folla, guardando chi lo fa con il cuore, con la fede, con le braccia appesantite dalla fatica durante il tiro si chiede, come fanno a trascinare quella montagna senza l’ausilio delle ruote. Un tempo si credeva che la Vara camminasse da sola. Non ci sono parole che possono spiegare le emozioni sentite dalla gente vedendo il trionfo della Vara, in quel palcoscenico che pullula d’atmosfera e di aspettativa, ma si può chiedere qualunque sacrificio ai messinesi, qualsiasi privazione, ma toccare un cosi grande simbolo non é possibile.
“Sapiti quantu fozza cci voli pi tirari
Spustannu nu gran munti senza roti,
Ca sulu stannu sutta a ddu vardari
Si pensa chi di dda no’ si po smovi”.
Testi di Alessandro Fumia e Franz Riccobono, contenuti nella pubblicazione "La Vara", (Edas edizioni)
foto: Collezione Riccobono - Arnone - Sottile